Doveva essere il commercio del futuro, ma per certi aspetti ha fallito: crisi di Borsa, truffe e difficoltà dei pagamenti on-line hanno ridimensionato il sogno della new economy. Ma qualcosa è rimasto. Ecco a che punto siamo.
Uno degli errori più comuni quando si parla di e-commerce è limitare la discussione agli aspetti tecnici del problema. La tecnologia, è vero, è l’anima del commercio elettronico, e senza una serie di sigle e terminologie più o meno comprensibili (SSL, HTML, HTTPS, cookies, web browser, Java, e così via), ognuna tesa a identificare alcuni degli strumenti necessari, non sarebbe stato possibile realizzare nulla.Inoltre, il fallimento tecnologico e architetturale di molte soluzioni software per l’e-commerce è stato certamente una causa determinante per lo svilupparsi di una generale delusione intorno al concetto stesso di e-commerce.
Tuttavia, il commercio in Rete non è e non può ridursi solo a una questione di tecnologia. Molte aziende hanno fatto questo errore di valutazione e lo hanno poi pagato a caro prezzo.
QUANDO BASTAVA ESSERE ON-LINE
Nel “periodo d’oro” del commercio elettronico, tra la metà del ‘98 e la fine del 2000, sembrava bastasse avere un’idea, nemmeno troppo buona, un po’ di scaltrezza nel recuperare finanziatori e quotarsi in Borsa. Tutto sarebbe filato liscio. Quando poi la Borsa ha iniziato il tracollo, tra la fine del 2000 e i primi mesi del 2001 (il cosiddetto “crollo delle dot com”), tutti si sono resi conto che quel modello economico non poteva stare in piedi: non esiste un motivo al mondo, né economico né tanto meno etico-culturale, per cui un’azienda debba avere successo per il solo fatto di essere presente su Internet e quotata in Borsa. L
a maggior parte di queste aziende vendeva in perdita, puntando tutta la propria strategia di guadagno sulle quotazioni di Borsa.
Finché la Borsa ha continuato a crescere, nessun problema; quando ha iniziato a cedere, tutti hanno capito che la “new economy” non poteva sopravvivere vendendo prodotti o servizi in perdita, magari anche senza strategie commerciali (mai sentito parlare di venditori di fumo?). Naturalmente, non tutte le aziende presenti online sono crollate. La maggior parte delle sopravvissute, con qualche notevole eccezione, sono aziende che hanno anche una presenza concreta, ovvero sono aziende che oltre all’iniziativa on-line hanno una storia più o meno lunga di vendita tradizionale con negozi, magazzini e tutto il resto. Anzi, in questo momento è proprio questo ciò che resta dell’e-commerce: presenza on-line di iniziative tradizionali (supermercati, catene della grande distribuzione tecnologica e non solo, libri, musica ed elettronica di consumo) e vendita on-line di beni immateriali (fondamentalmente viaggi, biglietti aerei, vacanze last minute e software), per i quali non c’è grande differenza tra l’acquisto tradizionale e quello on-line.
IL LATO TECNOLOGICO
Non appena le aziende si sono accorte che essere on-line non bastava più, sono cominciati i problemi. Una cosa è realizzare un “sito vetrina”, in cui vengono esposte le merci e i servizi in vendita, mentre per tutto il resto ci si affida ai canali tradizionali. Tutt’altro è invece realizzare un sito di e-commerce vero, in cui l’utente interagisce con il sito, crea il proprio prodotto assemblando diverse offerte presenti on-line, finalizza l’ordine e paga.
Per costruire un buon sito di e-commerce, bisogna considerare vari aspetti della questione.Innanzitutto, la parte grafica: è una questione di immagine, come accade per i negozi tradizionali. Se il negozio ha un aspetto trasandato, poco accattivante e non troppo efficiente, e magari i commessi non sono particolarmente amichevoli, è probabile che il cliente vada a fare i suoi acquisti da un’altra parte.
Lo stesso discorso vale per i siti web: se una pagina sembra fatta in casa (ha il look tipico di un template Word o Front Page, per esempio), ha una grafica poco curata oppure ogni tanto non è raggiungibile, il navigatore andrà da un’altra parte.
Ancora più delicata è l’analogia con la cordialità e la preparazione del commesso di un negozio tradizionale: non serve avere un sito ben curato, ma difficile da navigare e in cui è difficile recuperare le informazioni richieste.
Peggio ancora, quando non si capisce come finalizzare l’acquisto. Anche in questo caso i visitatori perderanno facilmente la pazienza.